Cindia. Un neologismo che non vuole confondere Cina e India all’interno di un medesimo blocco, sfumando le differenze fra i due Paesi che rimangono comunque evidenti (si pensi solo al modello di stato: l’uno democratico, l’altro – a dir poco - autoritario).
Piuttosto, sul medio (attenzione: non lungo), questo è il nome di un continente virtuale (per quanto?) che si candida a costituire il nuovo baricentro socio-economico-politico internazionale: le convergenze tra Pechino e New Delhi vanno aumentando, in termini di crescita economica, fabbisogni energetici, ricerca e innovazione continua.
Federico Rampini, corrispondente di Repubblica da Pechino, con lo spirito e l’entusiasmo del narratore, conduce il lettore in un viaggio attraverso a Cina e India, la prima ormai più industrializzata della Gran Bretagna, la seconda già in possesso di un know-how informatico e biotecnologico confrontabile con quello americano.
L’elefante e il dragone insieme contano oltre un terzo della popolazione mondiale, sono diventate le mete privilegiate degli investimenti delle multinazionali, dove l’India si sta configurando come il leader mondiale dei servizi delocalizzati (grazie soprattutto alla diffusione della lingua inglese e all’ottimo livello tecnico-scientifico), mentre la Cina – si sa – è di fatto la maggiore “fabbrica” del pianeta.
Parliamo di un mercato che nel 2030 contribuirà al 42% del Pil mondiale, lasciando agli Usa il 23% e all’Europa solo il 16
Il saggio di Rampini ha il grande merito di farci superare i luoghi comuni, i commenti da bar che spaziano dall’allarmismo più cupo alla supponenza più superficiale.
Si propone invece su una dimensione che a tratti è analitica, più spesso sistemica, per farci acquisire una maggiore consapevolezza del fenomeno, prendendo coscienza delle implicazioni che la crescita economica dei due paesi emergenti comporta.
E prepararsi a qualcosa che è già in atto, inarrestabile.
Federico Rampini
“L'Impero di Cindia”
Mondadori – 2006 - 371 pagine
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